Stringe orgogliosamente tra le braccia il suo trofeo: la scatola con i colori e tutto l’occorrente per disegnare.

La scatola è quasi più grande di lui, se ne è appropriato senza chiedere niente, convinto che tutto gli sia dovuto.

Le piccole braccia stringono il tesoro e lo sguardo si traveste da muto rimprovero per il coperchio che non si chiude bene,

Questi adulti hanno solo oggetti incompleti e a rischio.

L’occhio furbo traduce, attraverso lo sguardo, la parola magica, quella che identifica l’oggetto che può sistemare tutto con il rotolo di scotch.

È una fatica essere bambini di questi tempi.

Ti ritrovi circondato da grandi che non sanno mai come comportarsi, che oscillano tra urla e carezze, che si interrogano sul perché non puoi essere come loro vorrebbero, come la società vorrebbe.

Per capirsi, questi grandi ti portano da altri grandi che ti fanno disegnare e intanto, falsamente comprensivi, si interrogano su come ti comporti.

Ma non lo sanno che uno cambia ogni giorno, che il fatto di aver incontrato Rolf

, il barboncino del primo piano, quello che ti riempie di deste quando ti vede, cambia il tuo umore?

Non sanno che poter giocare liberi, correre sui prati o perdersi nella fantasia è fondamentale come il latte con i biscotti che la mamma ti da ogni mattina a colazione?

Sempre lì a interrogarsi sul significato del gesto, smorfie, comportamenti che non hanno significati strani, che esprimono solo come ci si sente, che dipendono da gente cose interessanti!

È una fatica crescere, far valere i tuoi diritti di bambino, il tuo modo di vedere e sentire un mondo di atteggiamenti preconfezionati.

Sono buffi questi grandi

Per ogni cosa c’è sempre una risposta, sempre quella.

E non provare a proporre un’altra

Partono ore di discorsi su cosa si fa e cosa non si fa.

E non sanno risolvere i problemi veramente importanti.

Come ieri.

Uscito dall’asilo si era accorto di non avere più il dinosauro verde, quello con la cresta marrone e morbida.

Subito si ricorda, l’aveva prestato a Giorgio quella mattina perché il suo amico continuava a piangere.

Er triste, quella mattina non voleva venire all’asilo ma la mamma lo aveva accompagnato ugualmente.

Il dinosauro aveva restituito tranquillità a Giorgio, si era messo in un angolo con il pupazzo in mano e si era subito perso nel mondo delle storie.

Percorreva foreste e avventure, si notava dalla faccia e dal minuscolo corpo tutto impegnato nel racconto e intanto, senza farsi sentire, il tempo passava e si avvicinava l’ora di tornare a casa.

Andrea era felice di essere riuscito ad aiutare Giorgio e si era dimenticato del dinosauro.

Ma adesso gli serviva.

Doveva ricominciare, appena arrivò a casa, il gioco del lago.

Quella storia bellissima che sta inventando da più giorni e dove il dinosauro era il protagonista.

Raccoglie tutta la sua voce per attirare l’attenzione della mamma già persa nel mare di future commissioni accuratamente pianificate per quel pomeriggio.

La mamma lo guarda interrogativa e lui spiega il suo problema, spiega che deve riprendere il pupazzo.

Devono inseguire Giorgio e sua mamma e farselo restituire.

Le speranze che si agitano sul suo volto vengono schiacciate dal granitico “impossibile” scagliato dalla mamma.

Guarda sbalordito la mamma.

Forse non ha capito bene quanto è importante quel pupazzo per lui.

Forse si è spiegato male.

Ci riprova.

Questa volta viene atterrato da un volgarissimo “quante storie” accompagnato da un violento strattone al braccio per farlo camminare più veloce.

Sono in ritardo per la spesa, dopo il supermercato devono andare dal parrucchiere e poi passare dalla nonna e poi la cena e poi…..

Andrea sgrana gli occhi, non è possibile che la mamma non capisca.

Elenca la solita lista di inutilità di tutti i giorni e non capisce il vero problema.

Sente lo stomaco chiudersi, come se una mano lo strizzasse.

Troppo forte il dolore, piange per scaricarne un po’.

Lacrime singhiozzi e strilli escono tutti assieme dalla sua bocca come se non stessero aspettando altro.

La mamma si arrabbia, si volta e gli molla un ceffone concludendo che è il solito capriccioso.

Angoscia, rabbia, delusione.

Tutte queste sensazioni assieme.

Sono troppe, troppo difficili da sopportare.

Capisce solo che il suo gioco non può continuare quel giorno.

Capisce solo che la mamma non capisce l’importanza di questo disguido.

Capisce solo che è difficile lottare contro i grandi.

Capisce solo che dovrà aspettare domani.

L’unica cosa che lo consola un poco è che almeno Giorgio è stato contento e ha smesso di piangere quella mattina.

(Alesandra Cova 2003)

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